Per me si va tra la perduta gente…
E’ venuto il tempo delle verità, quello di fare i conti con la realtà dura e cruda. Il tempo, abile abbindolatore e sovrano di ipocriti e puri di cuore, è pronto ad emanare la sua sentenza. Al suo cospetto, siamo così piccoli, così insulsi, così insignificanti che solo Dio può fargli abbassare la cresta. Non siamo a lui creditore, non lo siamo mai, anche quando crediamo che lui ci debba qualcosa in cambio o ci debba fare giustizia nei confronti di qualcuno.
« Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!
Tant’è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,
dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte. »
Paragon non porta pena, con i celeberrimi versi di quel canto di Inferno che un Dante “macca liotru” dovrebbe battezzare come “Canto dei play-out”. Ora, e per tutti, è giunto quel tiranno tempo di guardare quell’arcata terrificante dinanzi a noi, col cuore sereno di chi sa già cosa troverà al suo interno. Su quella porta, giacciono inesorabili le seguenti parole:
« Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l’etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore:
fecemi la divina potestate,
la somma sapienza e ‘l primo amore;
dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch’ intrate. »
Questo è ciò che il 21 Maggio ci aspetterà, al varcare quell’uscio tormentato di chi dagli alti sobborghi della serie A discende tra le anime perdute come un angelo caduto e ripudiato dal regno del Paradiso.
Destin-comune ad un Catania imbastardito da troppi mali incurabili. Lapidato dalla mal gestione societaria, condita da armamenti di latte e miele e costrutto solido quanto l’aria a diecimila metri di altezza, dalla offensiva arroganza e presunzione dei singoli protagonisti (in negativo) sul campo, dai nomi altisonanti e dal fare molle quanto un mollusco, per finire con una società fantasma che ha lasciato troppo libero arbitrio allo staff tecnico in questione, incompetente, non da Catania…insomma.
Una stagione iniziata per il meglio, nonostante la burrascosa estate, con forti segnali di rinascita dopo le dieci partite benauguranti di campionato e tanti, tantissimi cuori rossazzurri a battere all’unisono contro le più rosee previsioni. Tredicimila ogni match al Massimino, cinquemilacinquecento e rotti gli abbonati, numeri pazzeschi, sbalorditivi, faraonici per chi fa calcio da una vita e si rende conto che, in questi tempi, sono “manna dal cielo” per uno sport tendente, a lungo andare, al fallimento. Chi ha vissuto calcio, grazie a lui ha gioito, pianto e rimpinzato la pancia…sa cosa significano queste parole.
Patrimonio dilapidato, tesoro rubato, gran canyon economici creati su di un impero ambito da amici e nemici della Proboscide sempre innalzata in aria, come quella dei fieri tifosi rossazzurri, a cui nessuno saprà risanare le atroci lacerazioni al cuore. E come biasimarli se, al cospetto del loro amato amore, non hanno la forza di varcare quei tornelli, calcare quelle rampe e sedersi su quei freddi e umidi gradoni, inneggianti dei festanti ricordi, ad oggi, distanti una lacrima da qui. A volerci liberare di cotanto dolore, potremmo attuare un progetto di “ribonifica” del Simeto.
Capire non può chi in questo dolore non vive e non riuscirebbe mai a sopravvivere. Come anime perdute e senza meta vaghiamo tra i nostri ricordi, affidandoci ai video su YouTube, alle immagini, ai ricordi tramandati per vivere nel passato, perché questo presente fa troppo male…e non osiamo accennare al futuro. Per gioire siamo costretti ad apprezzare il miracolo sportivo del Crotone (cammino esplosivo della compagine calabrese approdata meritatamente in serie A), con cui esiste un bel gemellaggio tra tifoserie. Abbiamo realizzato grafiche pazzesche, post su Facebook, manifesti e inni alla gioia in segno di profondo rispetto per i fratelli crotonesi…ma anche per colmare quel grande vuoto che ci logora dall’interno, corrodendo, ogni secondo delle nostre giornate, fegato, polmoni, intestino, cuore e anima.
All’epilogo del trentaquattresimo canto di questa “Divina Lega Pro”, gli alibi saranno tanti: il primo, ovvio, i dieci punti di penalizzazione, a fronte attualmente di quei 46 punti ottenuti sul campo che avrebbero dettato classifica ben diversa da dove ci si trova sino ad ora; il secondo, più lagnoso, la difficoltà psico-fisica di condurre una stagione sempre a rincorrere, sempre a nervi tesi e alto regime, contro tutti quei tifosi che hanno saputo solo contestare, criticare e voltare le spalle.
Ma oltre quella “porta solenne”, ove si ergerà imponente quella scritta:”Lasciate ogne speranza, o voi ch’intrate”, non vi troveremo redenzione…mi correggo, non vi troveranno redenzione. Ritroveranno le più disparate pene dell’Inferno e riabbracceranno ogni tipo di peccato di cui si sono macchiati in questa offensiva stagione. Ignavi, lussuriosi, golosi, avari, iracondi, traditori, saranno lì a fargli compagnia, a distorcergli la loro già complicata esistenza, a dissuaderli e a farli sprofondare nelle sabbie mobili infuocate. Quattro partite, quattro gironi e nessuna ricompensa in palio, di certo non da quei straziati tifosi che hanno saputo esserci sempre, macinando chilometri, assorbendo infamità e subendo degli insulti alla loro dignità, comunque rimasta sempre illesa, da delle prestazioni vomitevoli da parte dei loro beniamini.
A novanta minuti da quella porta, rimane poco da rimembrare di portare con sé. Piccoli fiammiferi bagnati restano da accendere, giù al calar del sipario all’orizzonte della tenebrosa arcata, poche le speranze rimaste all’inpiedi. Su queste, qualcuno prova ad accendersi in fuocherello, attorno agli altri puri di cuore, per ripararsi dal freddo di questa terribile stagione calcistica. Ne è rimasto solo uno, un misero e minuto fiammifero da accendere per aggrapparci alle ultime speranze di salvezza senza passare dalla porta play-out, da accendere al momento propizio. Lo possiedono tutti, i tifosi, i giornalisti, i giocatori e la nuova società, sopraggiunta a fine stagione per dare un “senso” (che senso poi così tanto non ha) a questo Calcio Catania spa, diventato oramai motivo di derisione per i catanesi all’estero. Ce lo rigiriamo tra le dita, lo guardiamo, lo fissiamo dolenti, mentre l’ultimo struggente ricordo a Pagani, ci alita alle spalle come fosse affamato della nostra carne. Non abbiamo scampo, saremo sempre in pericolo in ogni caso, questo, noi che amiamo la maglia, lo sappiamo bene. Qualcuno, tuttavia, ha già pronto l’accendino per accompagnare questi poveri stolti di spirito alla soglia della “città dolente”; qualcuno ha già deciso di gettarlo via nel profondo abisso dei suoi più oscuri ricordi; qualcuno attende…inquieto.
E se, aldilà della nera soglia, non ci saranno né vincitori, né vinti, pare scorgere aldilà del nero cammino ben poche speranze di rivedere l’irto colle del Paradiso. Quel Vergara, a misura di salvatore della patria, agghindato e coccolato dai nostri più verdi sentimenti, come solo un catanese sa fare, allontana di molto le pretese di ritrovarlo aldilà delle “corna del primo angelo caduto”, rivelandosi meno angelo di quanto non sia sembrato per noi che abbiamo proclamato sulle spalle chi era pronto a pugnalarci al cuore. Ciò avvalora l’affermazione di “viaggio di sola andata” per questo Catania, per la matricola 11700 e, forse, nella visione più pessimistica, del calcio a Catania.
Potrebbero essere davvero le ultime volte di rivedere una maglia rossazzurra calcare lo stadio Angelo Massimino. Potrebbero essere le ultime volte per andare allo stadio e criticare, mostrare striscioni, odorare il sapore della curva, condividere questo immenso dolore con i nostri vicini di abbonamento. Potrebbe essere davvero uno degli ultimi canti dell’Elefante targato 1946…e potremmo rimpiangere di non poter dire ai nostri figli:”Io c’ero anche lì!”. Di fronte a quella scritta, il nostro Catania, con undici suoi indegni rappresentanti, sarà solo contro tutti. Saranno loro a portare questo fardello, ma è il Catania che sorreggono, non loro stessi. Per loro è la prima volta, per noi non lo è. Un fiammifero in più, nell’oscurità, può fare la differenza tra la vita e la morte. Diamogli luce e accompagniamoli laddove non c’è giustizia, né gloria.
Una luce tra le fiamme si innalza… Accendiamo quel fiammifero e andiamo allo stadio!
Pietro Santonocito