Catania: sette giocatori al Policlinico
Saranno le solite manifestazioni di solidarietà, trite e ritrite, quelle da paroloni giganti e massime a ciel sereno. Saranno le classiche “stigmatizzazioni ad oltranza” per un calcio al sentimentalismo, non per fare gol, magari per racimolare qualche abbonato-sentimentalista in più o, probabilmente, soltanto due colpi di violino in una giornata che suona musica house, nel frastuono di una Catania che rimane appigliata alla vita come una bellissima sirena, stanca di scappare e nascondersi.
Tutto ciò è verosimile. Ma, di fronte a delle anime che lottano, siamo tutti un po’ più servi di Dio, del destino, del fato o di qualunque altra forma di potere superiore al vostro voi crediate. Dacché, di fronte alla salute, siamo tutti un po’ meno bulli e un po’ più secchioni, un po’ meno dirigenti e un po’ più dipendenti, un po’ meno ricchi e un po’ più poveri, tralasciamo momentaneamente i fini commerciali, mediatici o manageriali e parliamo di sette uomini che si recano al reparto di Oncoematologia Pediatrica del Policlinico di Catania.
Hanno dei nominativi ognuno di loro: Pisseri; Nava, Bastrini, Bergamelli, Parisi; Biagianti; Calil. Cognomi sentiti dire, diciamo, qualche volta a Catania. Sono e saranno sempre sette uomini, così si sono presentati e così appaiono agli occhi, meno calcistici, di quei tanti che, leggendo questo articolo, si chiederanno tra sé e sé:”Ma chi ***** sono?”. Nessuno, solo uomini come noi, ma per qualcuno rappresentano un simbolo da portare sul petto, un vessillo da issare su nel cielo orgogliosamente, una speranza per vivere con un sorriso in più le buie giornate al servizio del volere della vita. La speranza di vedere un Calil buttarla dentro in semi-rovesciata, Pisseri parare un rigore al 90esimo, Bergamelli salvare un gol sulla linea a porta vuota, Biagianti segnare dalla distanza e baciare la maglietta rossazzurra…emozioni incredibili per tutti… per qualcuno, un monito in più per restare vivi.
Nel gesto dei “magnifici 7”, un giocattolo regalato ad ognuno dei pazienti, risiede uno dei principali incipit dell’uomo: il premio. Per un bambino, un giocattolo è uno dei simboli più belli e di maggior divertimento, ma anche ciò che ti gratifica come persona, soprattutto se donato da Calil in persona o da Biagianti. Il sentirsi ricompensati, gratificati, ancor più, non è un sentimento paragonabile solo alla quantità di moneta che ti stipendiano e non è circoscritto a fasce di età over diciottenni. Lo abbiamo sin da bambini, tutti. É questo sentimento che ci mette in gioco, che ci spinge a misurarci con noi stessi, che ci stimola alla competizione, a puntare verso una porta e calciare una palla in rete…a puntare verso il futuro, dando un calcio ad un tumore. Non esiste premio più grande, né coppe campioni, Champion’s League o coppe del mondo che possano sostituire un premio così immenso e grande: la Coppa della Vita. Raggiungerla, acciuffarla al 90esimo e oltre, contro il pronostico di medici, primari, infermieri e contro te stesso, non è una coppa dalle lunghe orecchie…probabilmente non è nemmeno una coppa che si può alzare in cielo. Troppo grande per il cielo stesso.
Al Policlinico, così come in altre strutture ospedaliere del mondo, si giocano sfide che mai nessuno racconterà, divulgherà o relegherà su di un foglio elettronico per condividerlo sui social, per saltare sul carro del vincitore di turno. Non ci saranno mila e mila tifosi a festeggiarti all’uscita, ma solo quei pochi tifosi che ti hanno visto lottare dal primo all’ultimo minuto. Non ci saranno telecamere, giornalisti ad intervistarti, né presidenti ad esonerarti se non hai vinto una partita. Al loro cospetto, il calcio vale quanto uno sputo nell’oceano.
E speriamo che Calil e compagni, dopo questa visita, capiscano quanto siano fortunati ad essere “gratificati”, così profumatamente, per dare quattro calci ad un pallone.
A tutti i “combattenti”, un immenso in bocca al lupo da parte di Istinto Rossazzurro.
Pietro Santonocito